martedì 12 giugno 2012

Come scrivo un racconto


Post in stereo sui due blog: come preparo un viaggio e come scrivo un racconto.

Mi viene un’idea.
La scrivo.
La rileggo.
La scrivo meglio.
Fatto.

Poi muore Ray Bradbury e ripenso a tutte le cose belle che ha meravigliosamente scritto lui, scuoto la testa depressa ripetendomi “Non sono degna, non sono degna…”

Le idee, per le persone che hanno il dono della fantasia, arrivano da tutte le parti, come le zanzare in una palude. Arrivano in auto mentre ascolto una canzone e rischio di tamponare un tir mentre smanaccio nella borsa alla ricerca del blocchetto per gli appunti. Sì, perché le idee vanno catturate al momento, altrimenti devo continuare a ripeterle nella mente finché non trovo carta e penna per bloccarle. Così succede che arrivo in ufficio e al primo “Buongiorno” rispondo “L’uomo correva nella pioggia senza ombrello.”. Non sono pazza, sto ripetendo l’idea per non dimenticarla.
Le idee sono come i sogni del mattino: se non li scrivo subito si dissolvono, per quanto mi sforzi di trattenerli non riesco a difenderli dalla luce del giorno e i particolari mi scivolano via dalla testa, mi restano addosso solo alcune sensazioni. Per questo tengo un blocchetto per appunti anche sul comodino.
Le scene di un racconto mi appaiono nel cervello come trailer di un film mentre guardo una foto oppure mentre mangio qualcosa il cui sapore mi rimanda a un luogo o a un momento.
All’inizio, quindi, c’è il trailer improvviso. Una volta intrappolato sulla carta ci ragiono e lo arricchisco immaginando i personaggi giusti per quella scena e i dialoghi. A quel punto sorgono i “perché” e, rispondendomi, la trama prende forma. Perché i personaggi si trovano lì, perché soli o con qualcuno, perché in quel momento, perché in quel luogo e così via. Spesso il trailer è una scena centrale del racconto, ma può apparirmi l’inizio oppure la fine.
Se mi viene l’idea per l’inizio, mi capita di arenarmi perché non so procedere bene in modo lineare. In quei casi lascio gli appunti a fermentare finché non ho un’illuminazione sulla scena successiva. Non è facile partire dall’inizio perché non so ancora bene dove andrò a parare. In questo caso la stesura diventa lunga.
Quando l’idea è una scena finale è tutto più semplice perché mi basta capire come si arriva lì, ma conosco già la meta e posso disseminare indizi fin dall’inizio. La stesura di un racconto nato in questo modo è fluida e veloce.
Da un’idea centrale, infine, ci si può muovere in molte direzioni, ma si imboccano anche vicoli ciechi e se mi capita dopo cinquanta pagine è difficile tornare indietro e modificare personaggi o luoghi che ormai ho dato per assodati. Il vantaggio, però, è che da una sola scena si possono diramare diverse storie che diventano più racconti.
Sullo scrivere in sé non posso dire nulla, ognuno ha il proprio stile e non ci sono regole che valgano per tutti. A me piacciono le parole semplici, non perdo tempo a cercare il termine più raffinato per ogni cosa, spesso la prima parola che mi viene in mente è già quella più adatta. Certo, bisogna conoscere tante parole perché ci vengano in mente al momento giusto ed è per questo che leggiamo tanto! Con un vocabolario povero finiremmo per scrivere “il tizio con il coso prese la cosa e la tirò all’altro tizio con l’altro coso che diceva quella cosa”.
Sono la regina degli errori di battitura che considero quindi perdonabili, ma la grammatica è fondamentale. Ok i termini colloquiali, ok lo slang, ok italianizzare termini stranieri a fini descrittivi, ma sono sicura che “gli avevo dato a lei” non sia una licenza poetica!! Abbiamo fatto tutti le elementari quindi non ci sono scuse.
Le idee sono ovunque per gli scrittori, per i musicisti, per i disegnatori e i ballerini. Fate quello che vi piace.

Le cose che voi cercate, Montag, sono su questa terra, ma il solo modo per cui l'uomo medio potrà vederne il 99% sarà un libro.
Ray Bradbury da "Fahrenheit 451"

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